IL GIUDICE UNICO
   Ha emesso la seguente ordinanza;
   Nel  procedimento recante il n. 985 degli affari contenziosi civili
 dell'anno 1997 tra Rosario Adragna,  Francesco  Adragna  e  Donatella
 Schiavo, rappresentati e difesi dall'avv. M. Piacentino, attori;
   Contro  il  Ministero  della  difesa,  in  persona  del Ministro in
 carica, rappresentato e difeso, come per legge, dall'Avvocatura dello
 Stato, convenuto;
   Con atto di citazione  del  12  febbraio  1998  i  signori  Rosario
 Adragna,  Francesco Adragna e Donatella Schiavo convennero davanti al
 tribunale di Palermo  il  Ministero  della  difesa,  in  persona  del
 Ministro in carica, chiedendo la condanna al pagamento di una congrua
 indennita',  ai sensi della legge 25 giugno 1865, n. 2359, ovvero, in
 subordine, della legge 8 agosto 1992, n. 359,  in  conseguenza  della
 imposizione  di  una servitu' militare su un'area di proprieta' degli
 stessi, della superficie di circa mq. 26.000, in catasto al foglio  8
 di Trapani, particelle 36, 48 e 659.
   Precisarono  gli  attori che con decreto del comandante della Terza
 Regione Aerea n. 2/1997 del 30 aprile  1997  era  stata  imposta  una
 servitu'  militare su una fascia di terreno larga m. 40, a protezione
 di un deposito dell'Aeronautica Militare sito in Trapani in localita'
 "Salina Collegio", consistente nei divieti di:
     a)  fare  piantagioni  di essenza tale (es. alberi di alto fusto,
 canapa, granturco, ecc.) che possano intercettare la possibilita'  di
 vista  e  di  tiro;  fare  determinate  operazioni  campestri (quali:
 scassare il terreno con mine, bruciare i residui  delle  piantagioni,
 ecc.);
     b) lasciare seccare sul posto i prodotti delle coltivazioni.  Nel
 caso  di  vegetazione  spontanea,  se  i  proprietari  non provvedono
 direttamente al tempestivo taglio ed  alla  conseguente  pulizia  del
 terreno, vi provvedera' l'Amministrazione Militare;
     c) fabbricare muri, edifici o altre strutture in elevazione;
     d) fare elevazioni di terra o di altro materiale;
     e)  scavare  fossi  od altri vani, ad eccezione di cunette per lo
 scolo delle acque, della profondita' massima di cm. 50;
     f) impiantare condotte elettriche sopraelevate di gas  o  liquidi
 infiammabili;
     g) impiantare deposito di gas o di liquidi infiammabili.
   Evidenziarono  gli  attori  che  il  terreno di loro proprieta' sul
 quale  era  stata  imposta  la  servitu'  militare  aveva  natura   e
 caratteristiche  edificatorie, ad esso riconosciute sia dal programma
 di fabbricazione della citta' di Trapani  che  dal  piano  regolatore
 generale  adottato  il  30  settembre  1996  e  che tali limitazioni,
 pertanto, assumevano natura espropriativa, essendo  di  tal  peso  da
 svuotare   di  contenuto  il  proprio  diritto  di  proprieta'  e  da
 sopprimere qualsiasi possibilita' di  sfruttamento  del  terreno.  Di
 conseguenza,  la  determinazione  dell'indennizzo operata dal Comando
 della Terza Regione Aerea  secondo  il  criterio  automatico  di  cui
 all'art. 7 della legge 24 dicembre 1976, n. 898, fissato nella misura
 di  L.  20.690  per  ciascun  anno,  appariva estremamente irrisoria.
 Pertanto, ritennero gli attori che il suddetto  criterio  automatico,
 essendo  commisurato  al  reddito  dominicale ed agrario, riguardasse
 solo  i  terreni  agricoli,  non  essendo   applicabile   alle   aree
 edificabili;  che,  comunque, qualora si ritenesse che il criterio in
 argomento  fosse  stato  dettato  dalla  legge  anche  per  i   suoli
 edificabili e per le servitu' aventi natura espropriativa, si sarebbe
 dovuto  dichiarare la illegittimita' costituzionale dell'art. 7 della
 legge 24 dicembre 1976, n. 898, come  modificato  dall'art.  3  della
 legge 2 maggio 1990, n. 104, con riferimento all'art. 42, terzo comma
 della   Costituzione,   essendo  le  norme  in  questione  del  tutto
 inadeguate ad assicurare ai proprietari delle aree asservite un  equo
 ristoro per il sacrificio loro imposto.
   L'amministrazione  convenuta, costituendosi, contrasto' la domanda,
 controdeducendo che avendo la imposta servitu' militare carattere non
 perpetuo l'indennizzo andava  limitato  alla  durata  del  vincolo  e
 commisurato  ai redditi determinati per la "imposizione sui redditi",
 ai sensi della legge 24 dicembre 1976, n. 868. Preciso', inoltre, che
 non aveva alcun senso distinguere tra terreni edificabili  e  terreni
 agricoli,  poiche'  tale distinzione non si rinveniva nel testo della
 legge che faceva esclusivo ed indistinto riferimento ai "terreni".
   Ritiene che il g.i. che la questione sollevata dagli attori sia non
 manifestamente infondata e rilevante nel giudizio in corso.
   La questione di legittimita' costituzionale.
   L'art.  7  della  legge  24  dicembre  1976,  n.  898,  (modificato
 dall'art.    3,  legge  2  maggio  1990,  n.  104),   recante   nuova
 regolamentazione delle servitu' militari, dispone che "ai proprietari
 degli  immobili  assoggettati  alle  limitazioni spetta un indennizzo
 annuo rapportato al doppio del  reddito  dominicale  ed  agrario  dei
 terreni  e  del  reddito  dei  fabbricati,  quali  valutati  ai  fini
 dell'imposizione sul reddito. Tale indennizzo  e'  stabilito  in  una
 meta' dei predetti redditi per le limitazioni di cui a ciascuna delle
 lettere  a)  e b) del precedente art. 2 e nell'intero reddito in caso
 di concorso di limitazioni di entrambe le lettere".
                    Sulla rilevanza della questione
   La controversia  e'  incentrata  sulla  determinazione  del  giusto
 indennizzo conseguente alla imposizione della servitu' militare.
   Occorre  preliminarmente  osservare  che  non  sembra che l'art. 7,
 legge  n.  798/1976  cit.  possa  essere   interpretato   nel   senso
 prospettato,  in  via  principale, dagli attori, cioe' che esso possa
 essere applicato solo per i fondi agricoli e non anche  per  le  aree
 edificabili.  A  tale interpretazione restrittiva, che renderebbe non
 rilevante la prospettata questione di illegittimita'  costituzionale,
 ostano ragioni di ordine letterale e logico.
   Va  anzitutto  evidenziato  che  la  norma contiene un esclusivo ed
 indistinto riferimento al reddito dominicale ed agrario dei  terreni,
 senza distinguere tra terreni agricoli e terreni edificabili.
    In  secondo  luogo, va considerato che il reddito agrario e quello
 dominicale di tutti i terreni non edificati ai fini dell'imposta  sul
 reddito   prescinde  dalla  natura  (edificatoria  od  agricola)  del
 terreno, assumendo rilievo unicamente la destinazione di fatto a fini
 agricoli del bene, cioe' la  circostanza  che  non  sussistano  sullo
 stesso edificazioni.
   Infine,  ulteriore argomentazione puo' trarsi dal fatto che proprio
 l'art. 2, lettera b) legge 24 dicembre 1976, n. 898  dispone  che  la
 suddetta servitu' militare puo' consistere nel divieto di "fabbricare
 muri  o  edifici",  il  che comporta che il legislatore ha ben tenuto
 presente che la imposizione della  servitu'  potesse  avere  riguardo
 anche  a  terreni aventi natura edificatoria, pertanto il criterio di
 indenizzo previsto nel successivo art. 7, che fa generico riferimento
 al reddito dominicale ed agrario dei terreni, non puo' non  riferirsi
 anche ai suddetti terreni.
   Orbene,  l'applicazione  del  criterio automatico di determinazione
 dell'indennizzo di cui all'art. 7 della legge 24  dicembre  1976,  n.
 898  (come modificato dall'art. 3 legge 2 maggio 1990 n. 104) in caso
 di imposizione di una servitu' militare che comporti limitazioni tali
 da impedire la disponibilita' ed il godimento di  aree  conformemente
 alla   loro   destinazione  edificatoria,  induce  questo  giudice  a
 sollevare la questione di legittimita' costituzionale  per  contrasto
 con l'art.  42, terzo comma, della Costituzione.
                   Sulla non manifesta infondatezza
   L'illegittimita'    costituzionale   della   previsione   contenuta
 nell'art.  7 della legge 24 dicembre 1976, n.  898  (come  modificato
 dall'art.    3  legge  2 maggio 1990, n. 104) si coglie sotto diversi
 profili.
   In primo  luogo  occorre  premettere  che,  sempre  in  materia  di
 determinazione dell'indennizzo in caso di imposizione di una servitu'
 militare,  gia'  con  sentenza  n.  138  del  6  aprile 1993 la Corte
 costituzionale  si  e'  pronunciata  con  riguardo  alla   previsione
 contenuta  nell'art.    2,  secondo  e  terzo  comma,  della legge 20
 dicembre 1932, n. 1849, come sostituito dall'art. 1,  legge  8  marzo
 1968,  n. 180, concludendo per la illegittimita' costituzionale della
 stessa per violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione.
   Va premesso che la suddetta previsione normativa prevedeva  che  in
 caso  di  imposizione  di una servitu' militare "ai proprietari degli
 immobili  colpiti  dalle  servitu'  previste  nel  presente  articolo
 spetta,  per la durata del vincolo, un indennizzo annuo rapportato al
 reddito  dominicale  ed  agrario  dei  terreni  e  al   reddito   dei
 fabbricati,   quali   valutati  ai  fini  dell'imposta  complementare
 progressiva. Tale indennizzo e' stabilito in un quinto  dei  predetti
 redditi  per  la servitu' di cui alla lettera a), in un quarto per la
 servitu' di cui alle lettere b) e c), in un terzo in caso di concorso
 di servitu' di due o piu' lettere".
   Orbene, nella motivazione della sentenza, la  Corte  costituzionale
 muovendo  dalla  considerazione  che  l'imposizione  di  una servitu'
 militare configura un caso analogo a quello dell'occupazione parziale
 e temporanea del fondo, ha ritenuto che  il  giudizio  di  congruita'
 dell'indennizzo  non puo' prescindere dal parametro del giusto prezzo
 risultante dagli artt. 40 e 68 della legge n. 2359 del 1865.
   Tali considerazioni possono essere riportate con  riferimento  alla
 previsione normativa in esame.
   Il legislatore, infatti, con l'art. 7 della legge n. 898/1976, come
 modificato   dall'art.  3,  legge  n.  104/1990,  nel  modificare  la
 precedente normativa di cui all'art. 2, secondo e terzo comma,  della
 legge  n. 1849/32, come sostituito dall'art. 1, legge 8 marzo 1968 n.
 180, che, come s'e' visto, e'  stata  oggetto  della  sopra  riferita
 pronuncia  di illegittimita' costituzionale, ha semplicemente variato
 il criterio di calcolo dell'indennizzo in caso di  imposizione  della
 servitu' militare, facendo riferimento, adesso, al doppio del reddito
 dominicale ed agrario dei terreni e del reddito dei fabbricati, quali
 valutati ai fini dell'imposizione sul reddito.
   Per   tale  ragione,  pare  che  le  considerazioni  che  la  Corte
 costituzionale aveva  ritenuto  di  esprimere  con  riferimento  alla
 precedente  pronuncia di illegittimita' costituzionale possano essere
 nuovamente  ribadite  con  riferimento  all'attuale  previsione   del
 criterio  di  calcolo, laddove esso vada applicato con riferimento ad
 imposizioni di servitu' militari che colpiscano  un  terreno  dotato,
 come quello in ispecie, di immediata attitudine edificatoria ed ove i
 vincoli  imposti  dall'autorita'  militare  vengano ad incidere sulla
 gia' maturata "appetibilita'" del terreno, sul  mercato  immobiliare,
 non  come fondo agricolo, ma come bene dotato di un valore di scambio
 perche' destinato all'urbanizzazione.
   Va, a tal proposito, evidenziato  che  il  decreto  del  comandante
 della  Terza Regione Aerea n. 2/1997 del 30 aprile 1997 ha imposto la
 servitu' militare sulle particelle nn.  36,  48  e  659,  partita  n.
 54832  fg. 8 del catasto di Trapani, di proprieta' degli attori e che
 fra le limitazioni oggetto  della  servitu'  contenute  nel  suddetto
 decreto  e'  compreso,  fra  l'altro,  anche il divieto di fabbricare
 muri, edifici o altre strutture in edificazione.
   Inoltre, dal certificato di destinazione urbanistica si evince  che
 la  particella  31  -  da  cui derivano, in seguito al frazionamento,
 tanto la particella n. 659 (v. copia estratto di mappa rilasciato  in
 data  2  novembre  1998  e  prodotto  dagli  attori)  che  la  n.  36
 (particella  quest'ultima  che  dalla  visione  della mappa catastale
 appare costituire la parte piu' cospicua della zona  sottoposta  alla
 servitu')  -,  ricade  in parte in zona "C1", in parte in zona "F" di
 tipo pubblico con ufficio pubblico, in parte verde attrezzato privato
 con parcheggio, in parte in zona "F"  di  attrezzature  con  Istituto
 nautico  e con centro sociale. Nel successivo allegato di definizione
 viene chiarito che la zona C1 si riferisce alle parti del  territorio
 destinate   ai  nuovi  complessi  insediativi  non  edificati  o  con
 edificazione con densita' edilizia territoriale  inferiore  a  mc/mq.
 1,500 e superficie coperta inferiore a 1/8.
   E',  dunque,  rilevante precisare che, da un lato, la maggior parte
 del terreno de quo sottoposto alla servitu' militare ha una specifica
 destinazione edificatoria, siccome risultante oltre che dal programma
 di fabbricazione del comune di Trapani approvato con D.A. n. 138  del
 5  giugno 1970 anche dal piano regolatore adottato dal commissario ad
 acta del medesimo comune con delibera n. 148 del 30 settembre 1996  -
 cfr.  Cassazione  civile, sez. I, 4 febbraio 1988 n. 1129, Cassazione
 civile, sez. I, 9 maggio 1986 n. 3085, Cassazione civile, sez. I,  12
 dicembre  1990 n. 11811 -, giacche' rientra nella zona "C1" destinata
 a nuovi insediamenti edilizi e che, per altro verso,  la  limitazione
 conseguente  all'imposizione  della servitu' e' tale da comprimere ed
 annullare tale destinazione  assumendo,  pertanto,  il  carattere  di
 espropriazione   sostanziale   che  comporta,  pertanto,  un  diritto
 all'indennizzo che sia tale da assicurare al privato un equo ristoro.
   Sul punto, la giurisprudenza di legittimita' e quella  della  Corte
 costituzionale  si e' espressa in termini che possono definirsi ormai
 sedimentati.
   E', a tal proposito, utile richiamare la sentenza  n.  6  del  1966
 della  Corte  costituzionale, la quale, pronunciandosi tra l'altro in
 materia   attinente   alla   disciplina   della   servitu'   militare
 (dichiarando  illegittima la legge n. 1849 del 20 dicembre 1932 nella
 parte in cui non prevedeva un  indennizzo  nel  caso  di  imposizione
 della  servitu'),  ha  affermato  il  principio  secondo  cui si deve
 considerare espropriativo ogni  atto  che  "pur  non  disponendo  una
 traslazione totale o parziale di diritti, imponga limitazioni tali da
 svuotare  il  contenuto  del  diritto  di  proprieta',  incidendo sul
 godimento del bene tanto profondamente da renderlo inutilizzabile  in
 rapporto  alla  destinazione  inerente  alla natura del bene stesso o
 determinando il venire meno o una penetrante incisione del suo valore
 di  scambio.  E',  altresi',  da  considerare   come   di   carattere
 espropriativo  l'atto  che  costituisca  servitu'  o imponga limiti a
 carico della proprieta', quando le une e gli altri siano  di  entita'
 apprezzabile,  anche  se non tali da svuotare di contenuto il diritto
 del proprietario".
   Da  tale  considerazione  consegue,  come  logico  corollario,  che
 l'indennizzo  cui  ha  diritto  il  proprietario  di  un  terreno che
 subisca,  per  effetto  dell'imposizione   di   una   servitu',   una
 sostanziale  espropriazione  di  fatto,  data  la natura edificatoria
 dello stesso e la menomazione del diritto di  proprieta'  conseguente
 alle  limitazioni imposte dalla servitu', debba essere ricondotto, ai
 fini della sua esatta determinazione, alla previsione di cui all'art.
 42, terzo comma, della Costituzione che  prevede  che  la  proprieta'
 privata  puo'  essere,  nei  casi  preveduti  dalla  legge,  e  salvo
 indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale.
   L'attenzione, dunque, si sposta fino a prendere in esame come debba
 andare  inteso il concetto di indennizzo indicato nell'art. 42, terzo
 comma della Costituzione, al fine di raffrontare ad esso  le  singole
 previsioni  normative  e,  in  particolare,  la  previsione contenuta
 nell'art.  7, legge n. 898/1976, come modificato dall'art.  3,  legge
 n. 104/1990.
   A  tal  fine,  la  giurisprudenza  della Corte costituzionale si e'
 attestata su un principio di  fondo,  poi  successivamente  ribadito,
 secondo  cui l'indennita' di espropriazione non puo' essere meramente
 simbolica o  irrisoria,  ma  deve  essere  congrua,  seria,  adeguata
 (sentenze  nn.  91 del 1963, 22 del 1965, 115 del 1969, 63 del 1970).
 La sentenza n. 61 del 1957, piu' precisamente,  defini'  l'indennizzo
 come  il  massimo  contributo  di  riparazione che, nell'ambito degli
 scopi  di  generale  interesse,  la  pubblica  amministrazione   puo'
 garantire all'interessato.
   Una  certa  ulteriore  evoluzione del suddetto concetto deve essere
 individuata  nelle  successive  precisazioni  che  la  stessa   Corte
 costituzionale  ebbe  modo  di  esprimere.  Probabilmente, il momento
 centrale di tale elaborazione deve essere collocato  nella  pronuncia
 n.  5  del  1980  che,  nell'affermare  che  il  diritto di edificare
 continua ad inerire alla proprieta' e che, pertanto,  la  concessione
 ad  edificare  non  e'  attributiva  di  nuovi  diritti ma presuppone
 facolta' preesistenti, espresse il principio che non era conforme  al
 dettato  costituzionale  contenuto  nell'art.  42,  terzo comma della
 Costituzione utilizzare come criterio  per  la  determinazione  della
 misura  dell'indennita'  di esproprio il valore agricolo medio, posto
 che, per essere conforme al dettato costituzionale,  era  "necessario
 che  la  misura  di essa sia riferita al valore del bene, determinato
 dalle sue caratteristiche essenziali e dalla destinazione  economica,
 perche' solo in tal modo l'indennita' stessa puo' costituire un serio
 ristoro per l'espropriato.  E' palese la violazione di tale principio
 ove,  per  la  determinazione della indennita', non si considerino le
 caratteristiche del bene da  espropriare  ma  si  adotti  un  diverso
 criterio che prescinda dal valore di esso".
   Sul necessario riferimento al valore del bene si e' basata tutta la
 successiva   giurisprudenza   della   Corte  costituzionale,  che  ha
 precisato che e' legittima l'adozione di piu' criteri purche'  almeno
 uno   sia   agganciato  al  valore  venale  e  che  pertanto  risulta
 compatibile  con  la  garanzia  dell'art.  42,  terzo  comma,   della
 Costituzione,  la previsione di un criterio mediato (sent. n. 216 del
 1990).
   In tale ottica si e' orientata la sent. n. 283 del 1993, la  quale,
 chiamata  a pronunciarsi sull'illegittimita' costituzionale dell'art.
 5-bis d.-l. 11 luglio 1992 n.  333,  convertito,  con  modificazioni,
 nella  legge  8  agosto  1992  n. 359, nella parte in cui determinava
 l'indennita' di espropriazione nella misura del  sessanta  per  cento
 della   semisomma   del   valore  venale  e  del  reddito  dominicale
 rivalutato, pur muovendosi  in  un'ottica,  fortemente  criticata  da
 autorevole   dottrina,   protesa  espressamente  a  salvaguardare  le
 esigenze della finanza  pubblica,  non  ha  potuto  fare  a  meno  di
 riconoscere   che   "il   rischio  di  astrattezza  del  criterio  di
 quantificazione dell'indennita' di espropriazione e'  evitato  quando
 uno  dei  parametri  che  concorrono  sia ancorato al valore venale".
 Principio, quest'ultimo, del tutto in linea con la coeva pronuncia n.
 138  del  1993,  cui  si  e'  gia'  particolarmente  piu' sopra fatto
 riferimento,  anch'essa  orientata  nel  senso  di  ritenere  che  il
 giudizio  di  congruita'  dell'indennizzo  non  puo'  prescindere dal
 parametro del giusto prezzo di cui agli artt. 40 e 68 legge n.   2359
 del 1865, quindi dal riferimento al valore venale del bene.
   Orbene  alla luce della suddetta elaborazione giurisprudenziale del
 concetto di indennizzo    in  materia  di  espropriazione  (sia  essa
 formale  che  sostanziale), emerge il dato imprescindibile che non si
 possa determinare quest'ultimo in modo da prescindere del  tutto  dal
 valore venale del bene, sia pure come parametro di riferimento.
   Tale   essenziale   esigenza  non  appare  rispettata  nel  dettato
 normativo contenuto nell'art. 7, legge n. 898/1976,  come  modificato
 dall'art.    3  legge  n.  104/1990  e  pertanto  il criterio in esso
 indicato comporta una determinazione dell'indennizzo che, in caso  di
 imposizione  di  limitazioni  che riguardino aree edificabili, appare
 insufficiente rispetto a quanto prescrive la Costituzione.
   Ed infatti,  come  si  e'  avuto  modo  di  precisare  la  suddetta
 previsione   normativa  a'ncora  al  doppio  del  reddito  agrario  e
 dominicale nonche' al reddito dei fabbricati, quali valutati ai  fini
 dell'imposizione  sul  reddito, la determinazione dell'indenzizzo per
 le limitazioni conseguenti all'imposizione della servitu' militare.
   Tale indennizzo, inoltre, e' stabilito in una  meta'  dei  predetti
 redditi  per  le  limitazioni di cui a ciascuna delle lettere a) e b)
 del precedente art. 2 e nell'intero del reddito in caso  di  concorso
 di limitazioni di entrambe le lettere.
   Nessun    riferimento,   pertanto,   viene   fatto   al   parametro
 rappresentato dal valore venale del bene, cio' in  contrasto  con  la
 sopra  indicata  linea  interpretativa  divisata  costantemente dalla
 Corte costituzionale.
   Piuttosto,  occorre  considerare  che,  utilizzando   il   criterio
 indicato    nella    suddetta    norma,   qualora   un   vincolo   di
 inedificabilita', come nel caso di specie, colpisca  un'area  urbana,
 sulla  quale non esiste ancora alcuna costruzione, l'indennizzo viene
 calcolato   sulla   base   del   reddito   dominicale   ed   agrario,
 corrispondente   ad   una   utilizzazione   ben   diversa  da  quella
 edificatoria che, per effetto dell'imposizione della servitu',  viene
 di fatto impedita.
   Ne consegue un'assoluta divaricazione tra il reale valore dell'area
 destinata  all'edificazione  interessata  dall'atto di espropriazione
 sostanziale e la misura dell'indennizzo determinata  sulla  base  dei
 valori   fissi  dei  redditi  catastali  -  ancorche'  raddoppiata  -
 pervenendosi, pertanto, alla liquidazione di una somma che  oltre  ad
 essere  del  tutto  irrisoria - o addirittura inesistente - e, quindi
 non seriamente ristoratrice  del  pregiudizio  effettivo  ed  attuale
 subito,   prende   come   parametro  dell'indennizzo  l'utilizzazione
 agricola del bene e non  quella  edificatoria  che  oggettivamente  e
 naturalmente   gli   appartiene   e   che  e'  appunto  impedita  dal
 provvedimento amministrativo di imposizione di servitu' militare.
   Ne' puo' diversamente  opinarsi  considerando  che  la  limitazione
 correlata  alla  servitu' militare e' temporanea e non definitiva, di
 tal che non assumerebbe alcun rilievo la natura - edificatoria o meno
 - dell'area asservita, volta  che  quel  che  rileva  ai  fini  della
 quantificazione dell'indennizzo e' appunto la perdita di godimento di
 un'area  edificatoria,  il cui utilizzo viene frustrato in dipendenza
 delle esigenze pubbliche che la servitu' militare mira  a  conseguire
 senza  peraltro  indennizzare in modo congruo il proprietario gravato
 dalla limitazione.
   Del resto, giova ricordare che la giurisprudenza di legittimita' e'
 ferma  nel  riconoscere,  in  ambiti  seppur  diversi   ma   comunque
 comparabili  a  quello qui esaminato, che in tema d'indennizzo per la
 costituzione giudiziale di servitu' di elettrodotto,  da  effettuarsi
 ai  sensi  dell'art.    123  del  r.d.  11  dicembre 1933 n. 1775, il
 carattere anche amovibile della servitu' medesima  non  incide  sulla
 necessita'    di   liquidare   l'indennizzo   medesimo   sulla   base
 dell'effettivo valore del fondo asservito, e, quindi, di tenere conto
 anche della sua vocazione edificatoria - v. Cassazione civile sez. I,
 23  aprile  1992  n.  4892,  individuabile  peraltro   in   relazione
 all'effettiva  utilizzazione  che  lo  stesso  potrebbe  ricevere  in
 concreto per le caratteristiche  proprie  e  della  zona  in  cui  e'
 compreso  con  riferimento  alla  situazione in atto o prevedibile al
 momento della costituzione della servitu' - v. Cassazione, sez.    I,
 20 marzo 1990 n. 2317.
   Ne'  puo' infine sottacersi, ad ulteriore conforto di quanto teste'
 affermato, che l'immediata rilevanza  della  natura  edificatoria  di
 un'area  asservita per esigenze militari ai fini della determinazione
 dell'indennizzo e' stata inequivocabilmente ritenuta dal  giudice  di
 merito  investito  della  fattispecie che porto' alla declaratoria di
 illegittimita' costituzionale della normativa anteriore a  quella  di
 cui   qui   si   discute   il   quale   nel   determinare  la  misura
 dell'indennizzo, una volta caducato l'art. 2, commi 2 e 3,  legge  20
 dicembre  1932,  n.  1849  come sostituito dall'art. 1, legge 8 marzo
 1968 n. 180, fece applicazione della legge generale n. 2359 del  1865
 non  prescindendo  affatto  dal  dato ineludibile rappresentato dalla
 vocazione edificatoria dei terreni asserviti - peraltro  limitrofi  a
 quelli  per  iquali pende il giudizio innanzi a questo Tribunale - v.
 sent. n. 712 Corte di appello di Palermo 27 aprile-28 maggio 1994  in
 causa Adragna Rosario ed altri c. Ministero della difesa resa in sede
 di rinvio in seguito a Cass. n. 1549/1986.
   Orbene, tornando al caso di specie, risulta dagli atti in causa che
 l'estensione  del terreno asservito col decreto del 30 aprile 1997 e'
 di mq. 26.000 circa e che  le  particelle  659  e  48  hanno  reddito
 dominicale  e  agrario pari a zero mentre la particella 36, nella sua
 estensione complessiva, pari ad ettari 4, are 35 e centiare 46, ha un
 reddito dominicale di L. 17.418 ed un reddito agrario di L. 8.709.
   Applicando i criteri indicati nell'art. 7 della legge n. 898 del 24
 dicembre 1976, come modificata dall'art. 3 legge n. 104 del 2  maggio
 1990,  il  Comando  Terza  Regione Aerea ha determinato un indennizzo
 annuo di L. 20.690 (n. prot. TR3-743/42093 del 14 maggio  1997,  agli
 atti).
   Orbene,  tale  risultato non puo' che destare forti perplessita' in
 ordine alla congruita' del ristoro  determinato  alla  stregua  della
 legislazione  vigente,  avuto  riguardo  all'estensione  del  terreno
 gravato da servitu' ed  alla  natura  edificatoria  della  particelle
 suindicate,   che  costituiscono  la  parte  di  maggiore  estensione
 dell'area asservita.
   Ne'  secondo  questo  giudice  puo'  ritenersi  che  gli  interessi
 generali   sottesi   al    provvedimento    espropriativo    adottato
 dall'amministrazione  della  difesa  siano  tali  da  giustificare la
 misura di un indennizzo che, per le considerazioni dianzi esposte, e'
 addirittura nullo con  riferimento  ad  alcune  porzioni  di  terreno
 asservite.
   In  proposito, e' appena il caso di rammentare che se pure non puo'
 disconoscersi che la difesa del territorio nazionale  costituisce  un
 supremo  interesse dello Stato, non e' men vero che il riconoscimento
 di un indennizzo nelle misure dianzi ricordate  oltre  che  snaturare
 immotivatamente   il   concetto  di  proprieta'  che  il  legislatore
 costituzionale  ha  invece  inteso  preservare  anche  in   caso   di
 limitazioni  imposte  per  il  pubblico  interesse,  renderebbe  tale
 ristoro  una  mera  lustra,  cagionando  ai  proprietari  delle  zone
 asservite   un   pregiudizio   significativo  che  invece  di  essere
 ragionevolmente posto a carico  dell'intera  collettivita'  finirebbe
 irrazionalmente con l'oberare il soggetto gravato dalla servitu.
   Di  qui  il sospetto di incostituzionalita' dell'art. 7 della legge
 n. 898 del 24 dicembre 1976, come modificata dall'art.  3,  legge  n.
 104  del  2  maggio  1990,  nella  parte  in  cui prevede un criterio
 automatico di determinazione dell'indennizzo basato sul valore  della
 rendita   catastale  che  prescinde  del  tutto  dal  riferimento  al
 parametro  rappresentato  dal  valore  venale  del  bene,  con   cio'
 determinando,  nel caso di imposizione di vincoli di inedificabilita'
 su aree edificabili, una  commisurazione  dell'indennizzo  del  tutto
 inadeguata,   irrisoria   o  addirittura  inesistente  e  consentendo
 pertanto,  in  contrasto  con   l'art.   42,   terzo   comma,   della
 Costituzione,  la  compressione  del  diritto  di proprieta' mediante
 limitazione di natura espropriativa senza un effettivo indennizzo.
   Per tutte queste ragioni, va  dichiarata  la  rilevanza  e  la  non
 manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  7 della legge n. 898 del 24 dicembre 1976, come modificato
 dall'art.    3,  legge  n.  104 del 2 maggio 1990, con le conseguenti
 statuizioni di cui al dispositivo.
   Il presente giudizio deve quindi essere sospeso e  gli  atti  vanno
 rimessi alla Corte costituzionale.