IL GIUDICE UNICO Ha emesso la seguente ordinanza; Nel procedimento recante il n. 985 degli affari contenziosi civili dell'anno 1997 tra Rosario Adragna, Francesco Adragna e Donatella Schiavo, rappresentati e difesi dall'avv. M. Piacentino, attori; Contro il Ministero della difesa, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso, come per legge, dall'Avvocatura dello Stato, convenuto; Con atto di citazione del 12 febbraio 1998 i signori Rosario Adragna, Francesco Adragna e Donatella Schiavo convennero davanti al tribunale di Palermo il Ministero della difesa, in persona del Ministro in carica, chiedendo la condanna al pagamento di una congrua indennita', ai sensi della legge 25 giugno 1865, n. 2359, ovvero, in subordine, della legge 8 agosto 1992, n. 359, in conseguenza della imposizione di una servitu' militare su un'area di proprieta' degli stessi, della superficie di circa mq. 26.000, in catasto al foglio 8 di Trapani, particelle 36, 48 e 659. Precisarono gli attori che con decreto del comandante della Terza Regione Aerea n. 2/1997 del 30 aprile 1997 era stata imposta una servitu' militare su una fascia di terreno larga m. 40, a protezione di un deposito dell'Aeronautica Militare sito in Trapani in localita' "Salina Collegio", consistente nei divieti di: a) fare piantagioni di essenza tale (es. alberi di alto fusto, canapa, granturco, ecc.) che possano intercettare la possibilita' di vista e di tiro; fare determinate operazioni campestri (quali: scassare il terreno con mine, bruciare i residui delle piantagioni, ecc.); b) lasciare seccare sul posto i prodotti delle coltivazioni. Nel caso di vegetazione spontanea, se i proprietari non provvedono direttamente al tempestivo taglio ed alla conseguente pulizia del terreno, vi provvedera' l'Amministrazione Militare; c) fabbricare muri, edifici o altre strutture in elevazione; d) fare elevazioni di terra o di altro materiale; e) scavare fossi od altri vani, ad eccezione di cunette per lo scolo delle acque, della profondita' massima di cm. 50; f) impiantare condotte elettriche sopraelevate di gas o liquidi infiammabili; g) impiantare deposito di gas o di liquidi infiammabili. Evidenziarono gli attori che il terreno di loro proprieta' sul quale era stata imposta la servitu' militare aveva natura e caratteristiche edificatorie, ad esso riconosciute sia dal programma di fabbricazione della citta' di Trapani che dal piano regolatore generale adottato il 30 settembre 1996 e che tali limitazioni, pertanto, assumevano natura espropriativa, essendo di tal peso da svuotare di contenuto il proprio diritto di proprieta' e da sopprimere qualsiasi possibilita' di sfruttamento del terreno. Di conseguenza, la determinazione dell'indennizzo operata dal Comando della Terza Regione Aerea secondo il criterio automatico di cui all'art. 7 della legge 24 dicembre 1976, n. 898, fissato nella misura di L. 20.690 per ciascun anno, appariva estremamente irrisoria. Pertanto, ritennero gli attori che il suddetto criterio automatico, essendo commisurato al reddito dominicale ed agrario, riguardasse solo i terreni agricoli, non essendo applicabile alle aree edificabili; che, comunque, qualora si ritenesse che il criterio in argomento fosse stato dettato dalla legge anche per i suoli edificabili e per le servitu' aventi natura espropriativa, si sarebbe dovuto dichiarare la illegittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge 24 dicembre 1976, n. 898, come modificato dall'art. 3 della legge 2 maggio 1990, n. 104, con riferimento all'art. 42, terzo comma della Costituzione, essendo le norme in questione del tutto inadeguate ad assicurare ai proprietari delle aree asservite un equo ristoro per il sacrificio loro imposto. L'amministrazione convenuta, costituendosi, contrasto' la domanda, controdeducendo che avendo la imposta servitu' militare carattere non perpetuo l'indennizzo andava limitato alla durata del vincolo e commisurato ai redditi determinati per la "imposizione sui redditi", ai sensi della legge 24 dicembre 1976, n. 868. Preciso', inoltre, che non aveva alcun senso distinguere tra terreni edificabili e terreni agricoli, poiche' tale distinzione non si rinveniva nel testo della legge che faceva esclusivo ed indistinto riferimento ai "terreni". Ritiene che il g.i. che la questione sollevata dagli attori sia non manifestamente infondata e rilevante nel giudizio in corso. La questione di legittimita' costituzionale. L'art. 7 della legge 24 dicembre 1976, n. 898, (modificato dall'art. 3, legge 2 maggio 1990, n. 104), recante nuova regolamentazione delle servitu' militari, dispone che "ai proprietari degli immobili assoggettati alle limitazioni spetta un indennizzo annuo rapportato al doppio del reddito dominicale ed agrario dei terreni e del reddito dei fabbricati, quali valutati ai fini dell'imposizione sul reddito. Tale indennizzo e' stabilito in una meta' dei predetti redditi per le limitazioni di cui a ciascuna delle lettere a) e b) del precedente art. 2 e nell'intero reddito in caso di concorso di limitazioni di entrambe le lettere". Sulla rilevanza della questione La controversia e' incentrata sulla determinazione del giusto indennizzo conseguente alla imposizione della servitu' militare. Occorre preliminarmente osservare che non sembra che l'art. 7, legge n. 798/1976 cit. possa essere interpretato nel senso prospettato, in via principale, dagli attori, cioe' che esso possa essere applicato solo per i fondi agricoli e non anche per le aree edificabili. A tale interpretazione restrittiva, che renderebbe non rilevante la prospettata questione di illegittimita' costituzionale, ostano ragioni di ordine letterale e logico. Va anzitutto evidenziato che la norma contiene un esclusivo ed indistinto riferimento al reddito dominicale ed agrario dei terreni, senza distinguere tra terreni agricoli e terreni edificabili. In secondo luogo, va considerato che il reddito agrario e quello dominicale di tutti i terreni non edificati ai fini dell'imposta sul reddito prescinde dalla natura (edificatoria od agricola) del terreno, assumendo rilievo unicamente la destinazione di fatto a fini agricoli del bene, cioe' la circostanza che non sussistano sullo stesso edificazioni. Infine, ulteriore argomentazione puo' trarsi dal fatto che proprio l'art. 2, lettera b) legge 24 dicembre 1976, n. 898 dispone che la suddetta servitu' militare puo' consistere nel divieto di "fabbricare muri o edifici", il che comporta che il legislatore ha ben tenuto presente che la imposizione della servitu' potesse avere riguardo anche a terreni aventi natura edificatoria, pertanto il criterio di indenizzo previsto nel successivo art. 7, che fa generico riferimento al reddito dominicale ed agrario dei terreni, non puo' non riferirsi anche ai suddetti terreni. Orbene, l'applicazione del criterio automatico di determinazione dell'indennizzo di cui all'art. 7 della legge 24 dicembre 1976, n. 898 (come modificato dall'art. 3 legge 2 maggio 1990 n. 104) in caso di imposizione di una servitu' militare che comporti limitazioni tali da impedire la disponibilita' ed il godimento di aree conformemente alla loro destinazione edificatoria, induce questo giudice a sollevare la questione di legittimita' costituzionale per contrasto con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione. Sulla non manifesta infondatezza L'illegittimita' costituzionale della previsione contenuta nell'art. 7 della legge 24 dicembre 1976, n. 898 (come modificato dall'art. 3 legge 2 maggio 1990, n. 104) si coglie sotto diversi profili. In primo luogo occorre premettere che, sempre in materia di determinazione dell'indennizzo in caso di imposizione di una servitu' militare, gia' con sentenza n. 138 del 6 aprile 1993 la Corte costituzionale si e' pronunciata con riguardo alla previsione contenuta nell'art. 2, secondo e terzo comma, della legge 20 dicembre 1932, n. 1849, come sostituito dall'art. 1, legge 8 marzo 1968, n. 180, concludendo per la illegittimita' costituzionale della stessa per violazione dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione. Va premesso che la suddetta previsione normativa prevedeva che in caso di imposizione di una servitu' militare "ai proprietari degli immobili colpiti dalle servitu' previste nel presente articolo spetta, per la durata del vincolo, un indennizzo annuo rapportato al reddito dominicale ed agrario dei terreni e al reddito dei fabbricati, quali valutati ai fini dell'imposta complementare progressiva. Tale indennizzo e' stabilito in un quinto dei predetti redditi per la servitu' di cui alla lettera a), in un quarto per la servitu' di cui alle lettere b) e c), in un terzo in caso di concorso di servitu' di due o piu' lettere". Orbene, nella motivazione della sentenza, la Corte costituzionale muovendo dalla considerazione che l'imposizione di una servitu' militare configura un caso analogo a quello dell'occupazione parziale e temporanea del fondo, ha ritenuto che il giudizio di congruita' dell'indennizzo non puo' prescindere dal parametro del giusto prezzo risultante dagli artt. 40 e 68 della legge n. 2359 del 1865. Tali considerazioni possono essere riportate con riferimento alla previsione normativa in esame. Il legislatore, infatti, con l'art. 7 della legge n. 898/1976, come modificato dall'art. 3, legge n. 104/1990, nel modificare la precedente normativa di cui all'art. 2, secondo e terzo comma, della legge n. 1849/32, come sostituito dall'art. 1, legge 8 marzo 1968 n. 180, che, come s'e' visto, e' stata oggetto della sopra riferita pronuncia di illegittimita' costituzionale, ha semplicemente variato il criterio di calcolo dell'indennizzo in caso di imposizione della servitu' militare, facendo riferimento, adesso, al doppio del reddito dominicale ed agrario dei terreni e del reddito dei fabbricati, quali valutati ai fini dell'imposizione sul reddito. Per tale ragione, pare che le considerazioni che la Corte costituzionale aveva ritenuto di esprimere con riferimento alla precedente pronuncia di illegittimita' costituzionale possano essere nuovamente ribadite con riferimento all'attuale previsione del criterio di calcolo, laddove esso vada applicato con riferimento ad imposizioni di servitu' militari che colpiscano un terreno dotato, come quello in ispecie, di immediata attitudine edificatoria ed ove i vincoli imposti dall'autorita' militare vengano ad incidere sulla gia' maturata "appetibilita'" del terreno, sul mercato immobiliare, non come fondo agricolo, ma come bene dotato di un valore di scambio perche' destinato all'urbanizzazione. Va, a tal proposito, evidenziato che il decreto del comandante della Terza Regione Aerea n. 2/1997 del 30 aprile 1997 ha imposto la servitu' militare sulle particelle nn. 36, 48 e 659, partita n. 54832 fg. 8 del catasto di Trapani, di proprieta' degli attori e che fra le limitazioni oggetto della servitu' contenute nel suddetto decreto e' compreso, fra l'altro, anche il divieto di fabbricare muri, edifici o altre strutture in edificazione. Inoltre, dal certificato di destinazione urbanistica si evince che la particella 31 - da cui derivano, in seguito al frazionamento, tanto la particella n. 659 (v. copia estratto di mappa rilasciato in data 2 novembre 1998 e prodotto dagli attori) che la n. 36 (particella quest'ultima che dalla visione della mappa catastale appare costituire la parte piu' cospicua della zona sottoposta alla servitu') -, ricade in parte in zona "C1", in parte in zona "F" di tipo pubblico con ufficio pubblico, in parte verde attrezzato privato con parcheggio, in parte in zona "F" di attrezzature con Istituto nautico e con centro sociale. Nel successivo allegato di definizione viene chiarito che la zona C1 si riferisce alle parti del territorio destinate ai nuovi complessi insediativi non edificati o con edificazione con densita' edilizia territoriale inferiore a mc/mq. 1,500 e superficie coperta inferiore a 1/8. E', dunque, rilevante precisare che, da un lato, la maggior parte del terreno de quo sottoposto alla servitu' militare ha una specifica destinazione edificatoria, siccome risultante oltre che dal programma di fabbricazione del comune di Trapani approvato con D.A. n. 138 del 5 giugno 1970 anche dal piano regolatore adottato dal commissario ad acta del medesimo comune con delibera n. 148 del 30 settembre 1996 - cfr. Cassazione civile, sez. I, 4 febbraio 1988 n. 1129, Cassazione civile, sez. I, 9 maggio 1986 n. 3085, Cassazione civile, sez. I, 12 dicembre 1990 n. 11811 -, giacche' rientra nella zona "C1" destinata a nuovi insediamenti edilizi e che, per altro verso, la limitazione conseguente all'imposizione della servitu' e' tale da comprimere ed annullare tale destinazione assumendo, pertanto, il carattere di espropriazione sostanziale che comporta, pertanto, un diritto all'indennizzo che sia tale da assicurare al privato un equo ristoro. Sul punto, la giurisprudenza di legittimita' e quella della Corte costituzionale si e' espressa in termini che possono definirsi ormai sedimentati. E', a tal proposito, utile richiamare la sentenza n. 6 del 1966 della Corte costituzionale, la quale, pronunciandosi tra l'altro in materia attinente alla disciplina della servitu' militare (dichiarando illegittima la legge n. 1849 del 20 dicembre 1932 nella parte in cui non prevedeva un indennizzo nel caso di imposizione della servitu'), ha affermato il principio secondo cui si deve considerare espropriativo ogni atto che "pur non disponendo una traslazione totale o parziale di diritti, imponga limitazioni tali da svuotare il contenuto del diritto di proprieta', incidendo sul godimento del bene tanto profondamente da renderlo inutilizzabile in rapporto alla destinazione inerente alla natura del bene stesso o determinando il venire meno o una penetrante incisione del suo valore di scambio. E', altresi', da considerare come di carattere espropriativo l'atto che costituisca servitu' o imponga limiti a carico della proprieta', quando le une e gli altri siano di entita' apprezzabile, anche se non tali da svuotare di contenuto il diritto del proprietario". Da tale considerazione consegue, come logico corollario, che l'indennizzo cui ha diritto il proprietario di un terreno che subisca, per effetto dell'imposizione di una servitu', una sostanziale espropriazione di fatto, data la natura edificatoria dello stesso e la menomazione del diritto di proprieta' conseguente alle limitazioni imposte dalla servitu', debba essere ricondotto, ai fini della sua esatta determinazione, alla previsione di cui all'art. 42, terzo comma, della Costituzione che prevede che la proprieta' privata puo' essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale. L'attenzione, dunque, si sposta fino a prendere in esame come debba andare inteso il concetto di indennizzo indicato nell'art. 42, terzo comma della Costituzione, al fine di raffrontare ad esso le singole previsioni normative e, in particolare, la previsione contenuta nell'art. 7, legge n. 898/1976, come modificato dall'art. 3, legge n. 104/1990. A tal fine, la giurisprudenza della Corte costituzionale si e' attestata su un principio di fondo, poi successivamente ribadito, secondo cui l'indennita' di espropriazione non puo' essere meramente simbolica o irrisoria, ma deve essere congrua, seria, adeguata (sentenze nn. 91 del 1963, 22 del 1965, 115 del 1969, 63 del 1970). La sentenza n. 61 del 1957, piu' precisamente, defini' l'indennizzo come il massimo contributo di riparazione che, nell'ambito degli scopi di generale interesse, la pubblica amministrazione puo' garantire all'interessato. Una certa ulteriore evoluzione del suddetto concetto deve essere individuata nelle successive precisazioni che la stessa Corte costituzionale ebbe modo di esprimere. Probabilmente, il momento centrale di tale elaborazione deve essere collocato nella pronuncia n. 5 del 1980 che, nell'affermare che il diritto di edificare continua ad inerire alla proprieta' e che, pertanto, la concessione ad edificare non e' attributiva di nuovi diritti ma presuppone facolta' preesistenti, espresse il principio che non era conforme al dettato costituzionale contenuto nell'art. 42, terzo comma della Costituzione utilizzare come criterio per la determinazione della misura dell'indennita' di esproprio il valore agricolo medio, posto che, per essere conforme al dettato costituzionale, era "necessario che la misura di essa sia riferita al valore del bene, determinato dalle sue caratteristiche essenziali e dalla destinazione economica, perche' solo in tal modo l'indennita' stessa puo' costituire un serio ristoro per l'espropriato. E' palese la violazione di tale principio ove, per la determinazione della indennita', non si considerino le caratteristiche del bene da espropriare ma si adotti un diverso criterio che prescinda dal valore di esso". Sul necessario riferimento al valore del bene si e' basata tutta la successiva giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha precisato che e' legittima l'adozione di piu' criteri purche' almeno uno sia agganciato al valore venale e che pertanto risulta compatibile con la garanzia dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, la previsione di un criterio mediato (sent. n. 216 del 1990). In tale ottica si e' orientata la sent. n. 283 del 1993, la quale, chiamata a pronunciarsi sull'illegittimita' costituzionale dell'art. 5-bis d.-l. 11 luglio 1992 n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992 n. 359, nella parte in cui determinava l'indennita' di espropriazione nella misura del sessanta per cento della semisomma del valore venale e del reddito dominicale rivalutato, pur muovendosi in un'ottica, fortemente criticata da autorevole dottrina, protesa espressamente a salvaguardare le esigenze della finanza pubblica, non ha potuto fare a meno di riconoscere che "il rischio di astrattezza del criterio di quantificazione dell'indennita' di espropriazione e' evitato quando uno dei parametri che concorrono sia ancorato al valore venale". Principio, quest'ultimo, del tutto in linea con la coeva pronuncia n. 138 del 1993, cui si e' gia' particolarmente piu' sopra fatto riferimento, anch'essa orientata nel senso di ritenere che il giudizio di congruita' dell'indennizzo non puo' prescindere dal parametro del giusto prezzo di cui agli artt. 40 e 68 legge n. 2359 del 1865, quindi dal riferimento al valore venale del bene. Orbene alla luce della suddetta elaborazione giurisprudenziale del concetto di indennizzo in materia di espropriazione (sia essa formale che sostanziale), emerge il dato imprescindibile che non si possa determinare quest'ultimo in modo da prescindere del tutto dal valore venale del bene, sia pure come parametro di riferimento. Tale essenziale esigenza non appare rispettata nel dettato normativo contenuto nell'art. 7, legge n. 898/1976, come modificato dall'art. 3 legge n. 104/1990 e pertanto il criterio in esso indicato comporta una determinazione dell'indennizzo che, in caso di imposizione di limitazioni che riguardino aree edificabili, appare insufficiente rispetto a quanto prescrive la Costituzione. Ed infatti, come si e' avuto modo di precisare la suddetta previsione normativa a'ncora al doppio del reddito agrario e dominicale nonche' al reddito dei fabbricati, quali valutati ai fini dell'imposizione sul reddito, la determinazione dell'indenzizzo per le limitazioni conseguenti all'imposizione della servitu' militare. Tale indennizzo, inoltre, e' stabilito in una meta' dei predetti redditi per le limitazioni di cui a ciascuna delle lettere a) e b) del precedente art. 2 e nell'intero del reddito in caso di concorso di limitazioni di entrambe le lettere. Nessun riferimento, pertanto, viene fatto al parametro rappresentato dal valore venale del bene, cio' in contrasto con la sopra indicata linea interpretativa divisata costantemente dalla Corte costituzionale. Piuttosto, occorre considerare che, utilizzando il criterio indicato nella suddetta norma, qualora un vincolo di inedificabilita', come nel caso di specie, colpisca un'area urbana, sulla quale non esiste ancora alcuna costruzione, l'indennizzo viene calcolato sulla base del reddito dominicale ed agrario, corrispondente ad una utilizzazione ben diversa da quella edificatoria che, per effetto dell'imposizione della servitu', viene di fatto impedita. Ne consegue un'assoluta divaricazione tra il reale valore dell'area destinata all'edificazione interessata dall'atto di espropriazione sostanziale e la misura dell'indennizzo determinata sulla base dei valori fissi dei redditi catastali - ancorche' raddoppiata - pervenendosi, pertanto, alla liquidazione di una somma che oltre ad essere del tutto irrisoria - o addirittura inesistente - e, quindi non seriamente ristoratrice del pregiudizio effettivo ed attuale subito, prende come parametro dell'indennizzo l'utilizzazione agricola del bene e non quella edificatoria che oggettivamente e naturalmente gli appartiene e che e' appunto impedita dal provvedimento amministrativo di imposizione di servitu' militare. Ne' puo' diversamente opinarsi considerando che la limitazione correlata alla servitu' militare e' temporanea e non definitiva, di tal che non assumerebbe alcun rilievo la natura - edificatoria o meno - dell'area asservita, volta che quel che rileva ai fini della quantificazione dell'indennizzo e' appunto la perdita di godimento di un'area edificatoria, il cui utilizzo viene frustrato in dipendenza delle esigenze pubbliche che la servitu' militare mira a conseguire senza peraltro indennizzare in modo congruo il proprietario gravato dalla limitazione. Del resto, giova ricordare che la giurisprudenza di legittimita' e' ferma nel riconoscere, in ambiti seppur diversi ma comunque comparabili a quello qui esaminato, che in tema d'indennizzo per la costituzione giudiziale di servitu' di elettrodotto, da effettuarsi ai sensi dell'art. 123 del r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, il carattere anche amovibile della servitu' medesima non incide sulla necessita' di liquidare l'indennizzo medesimo sulla base dell'effettivo valore del fondo asservito, e, quindi, di tenere conto anche della sua vocazione edificatoria - v. Cassazione civile sez. I, 23 aprile 1992 n. 4892, individuabile peraltro in relazione all'effettiva utilizzazione che lo stesso potrebbe ricevere in concreto per le caratteristiche proprie e della zona in cui e' compreso con riferimento alla situazione in atto o prevedibile al momento della costituzione della servitu' - v. Cassazione, sez. I, 20 marzo 1990 n. 2317. Ne' puo' infine sottacersi, ad ulteriore conforto di quanto teste' affermato, che l'immediata rilevanza della natura edificatoria di un'area asservita per esigenze militari ai fini della determinazione dell'indennizzo e' stata inequivocabilmente ritenuta dal giudice di merito investito della fattispecie che porto' alla declaratoria di illegittimita' costituzionale della normativa anteriore a quella di cui qui si discute il quale nel determinare la misura dell'indennizzo, una volta caducato l'art. 2, commi 2 e 3, legge 20 dicembre 1932, n. 1849 come sostituito dall'art. 1, legge 8 marzo 1968 n. 180, fece applicazione della legge generale n. 2359 del 1865 non prescindendo affatto dal dato ineludibile rappresentato dalla vocazione edificatoria dei terreni asserviti - peraltro limitrofi a quelli per iquali pende il giudizio innanzi a questo Tribunale - v. sent. n. 712 Corte di appello di Palermo 27 aprile-28 maggio 1994 in causa Adragna Rosario ed altri c. Ministero della difesa resa in sede di rinvio in seguito a Cass. n. 1549/1986. Orbene, tornando al caso di specie, risulta dagli atti in causa che l'estensione del terreno asservito col decreto del 30 aprile 1997 e' di mq. 26.000 circa e che le particelle 659 e 48 hanno reddito dominicale e agrario pari a zero mentre la particella 36, nella sua estensione complessiva, pari ad ettari 4, are 35 e centiare 46, ha un reddito dominicale di L. 17.418 ed un reddito agrario di L. 8.709. Applicando i criteri indicati nell'art. 7 della legge n. 898 del 24 dicembre 1976, come modificata dall'art. 3 legge n. 104 del 2 maggio 1990, il Comando Terza Regione Aerea ha determinato un indennizzo annuo di L. 20.690 (n. prot. TR3-743/42093 del 14 maggio 1997, agli atti). Orbene, tale risultato non puo' che destare forti perplessita' in ordine alla congruita' del ristoro determinato alla stregua della legislazione vigente, avuto riguardo all'estensione del terreno gravato da servitu' ed alla natura edificatoria della particelle suindicate, che costituiscono la parte di maggiore estensione dell'area asservita. Ne' secondo questo giudice puo' ritenersi che gli interessi generali sottesi al provvedimento espropriativo adottato dall'amministrazione della difesa siano tali da giustificare la misura di un indennizzo che, per le considerazioni dianzi esposte, e' addirittura nullo con riferimento ad alcune porzioni di terreno asservite. In proposito, e' appena il caso di rammentare che se pure non puo' disconoscersi che la difesa del territorio nazionale costituisce un supremo interesse dello Stato, non e' men vero che il riconoscimento di un indennizzo nelle misure dianzi ricordate oltre che snaturare immotivatamente il concetto di proprieta' che il legislatore costituzionale ha invece inteso preservare anche in caso di limitazioni imposte per il pubblico interesse, renderebbe tale ristoro una mera lustra, cagionando ai proprietari delle zone asservite un pregiudizio significativo che invece di essere ragionevolmente posto a carico dell'intera collettivita' finirebbe irrazionalmente con l'oberare il soggetto gravato dalla servitu. Di qui il sospetto di incostituzionalita' dell'art. 7 della legge n. 898 del 24 dicembre 1976, come modificata dall'art. 3, legge n. 104 del 2 maggio 1990, nella parte in cui prevede un criterio automatico di determinazione dell'indennizzo basato sul valore della rendita catastale che prescinde del tutto dal riferimento al parametro rappresentato dal valore venale del bene, con cio' determinando, nel caso di imposizione di vincoli di inedificabilita' su aree edificabili, una commisurazione dell'indennizzo del tutto inadeguata, irrisoria o addirittura inesistente e consentendo pertanto, in contrasto con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, la compressione del diritto di proprieta' mediante limitazione di natura espropriativa senza un effettivo indennizzo. Per tutte queste ragioni, va dichiarata la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge n. 898 del 24 dicembre 1976, come modificato dall'art. 3, legge n. 104 del 2 maggio 1990, con le conseguenti statuizioni di cui al dispositivo. Il presente giudizio deve quindi essere sospeso e gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale.